Le condanne
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Il processo per gli assassini di Sergio Ramelli si trasformò in un grande lavacro della coscienza sporca della sinistra italiana. Per settimane, infatti, i giornali furono pieni di servizi speciali dedicati alle violenze degli anni Settanta. Inutilmente opinionisti e cattivi maestri di ogni genere cercarono di difendere “il contesto storico” in cui quell’omicidio era avvenuto. Si incominciò così a ricostruire la storia di quegli anni in cui tanti giovani urlavano che “uccidere un fascista non è reato” sentendosi emuli delle “gloriose gesta” dei partigiani e godendo dell’impunità, della complicità e persino del compiacimento di tanti ambienti sociali e politici. Poco per volta l’opinione pubblica riuscì a comprendere che quelli non erano stati anni “formidabili”, come li aveva descritti Capanna, ma un’autentica tragedia nazionale il cui terribile bilancio (in termini di morti e di degrado sociale) ha pesato sulle generazioni successive e ancora gravemente incide sulla vita di noi tutti. Un bilancio di sangue, ma soprattutto un bilancio di follia, di viltà, di menzogna che non si sana con le tardive condanne agli assassini, ma perpetrando il ricordo di quel barlume di coraggio, di onestà e di coerenza rappresentato proprio dalla breve vita di Sergio.