29 aprile – maggio 1975: La morte e i funerali
In questa sezione sono riportati gli articoli dei quotidiani inerenti la morte di Sergio e i suoi funerali.
(Per la ressegna dall’ aggressione fino alla morte vedere la sezione: 13 marzo – 29 aprile 1975: dall’aggressione alla morte)
Con la morte di Sergio aumenta decisamente l’interesse; aumentano gli interventi e i maggiori quotidiani italiani si occupano del caso: non solo, molte autorità pubbliche e politiche sentono il bisogno di esternare delle dichiarazioni e i messaggi di cordoglio vengono riportati dai quotidiani.
Fa una strana impressione leggere, oggi, la gran parte di questi interventi: ci si imbatte spesso in dichiarazioni che hanno la forma seguente: “Condanniamo tutte le forme di violenza – e quindi, sottinteso, anche questa!”; il che è piuttosto ambiguo. Pochi sentono il bisogno di raccontare la vita d’inferno che Sergio Ramelli aveva dovuto sopportare; quasi nessuno informa del fatto che era stato perseguitato per mesi e mesi a scuola e che la denuncia che egli aveva fatto per le minacce e le percosse era caduta nel vuoto. Che impressione poteva fare, per la famiglia, ricevere lettere di cordoglio dalle più alte cariche dello stato – che al funerale non si fecero ovviamente vive – quando quelle cariche non avevano fattto nulla per difendere Sergio e, con la loro assenza al funerale, aumentavano l’isolamento e la solitudine per altri ragazzi come Sergio e si rendevano corresponsabili di altre vittime? Leggere per credere: molti giornalisti fanno lunghi discorsi, si lanciano in meditazioni ardite per arrivare infine, al termine di lunghi percorsi intellettuali, a concludere con il principio che, se anche un ragazzo è di destra non è giusto ammazzarlo… Come se, per arrivare a questa sottigliezza metafisica, ci volesse impegno… riletti oggi queste dichiarazioni fanno spavento, anche quando sono scritte con tutta la buona volontà di arrivare veramente a una pacificazione e a una cessazione della violenza.
Va detto, a parziale scusante che il clima non era facile e che già stava cominciando la prassi di gambizzare (o peggio) i giornalisti non allineati o comunque scomodi. Certi atteggiamenti possono essere scusati a causa del clima di paura. Ma alcune deliberate falsificazioni e denigrazioni non possono godere di giustificazione alcuna.
Per comprendere appieno la situazione bisogna ricordare che Sergio Ramelli era membro di un partito, il MSI-DN, che aveva in parlamento una forte rappresentanza (circa l’8%, ovvero oltre 4 milioni di italiani). L’MSI-DN era nato da poco, in seguito alla cosiddetta “svolta” del X congresso del MSI in cui si era deciso di lasciar perdere ogni atteggiamento nostalgicista (Almirante disse: “Il nostro passato si chiama MSI”) e in tale partito erano confluiti personaggi lontanissimi dal fascismo – anche alcuni tra i padri della Costituzione Repubblicana Antifascista ! – . Non c’è dubbio che molte ambiguità permanessero ancora e che il rapporto con il fascismo non potesse dirsi risolto; tuttavia la nascita del MSI-DN segnò un momento assai particolare nella storia del nostro paese e molti giovani entrarono nel nuovo partito con il fine specifico di testimoniare la propria dissidenza rispetto a un clima generalizzato in cui essere comunisti era la norma e la regola. Non si trattava, propriamente, di proclamare un atteggiamento “anticomunista”; come osserva giustamente Nino Nutrizio nell’articolo sopra riportato i giovani come Sergio Ramelli erano accusati di non-comunismo, più che di anti comunismo: troppo forte era il clima di consenso al marxismo per poter ipotizzare altro che una semplice dissidenza rispetto a una linea politica che era divenuta unanimità consenziente.
Fatta questa premessa non si può che stigmatizzare l’atteggiamento tenuto da certi quotidiani, come ad esempio La Stampa, che definisce Sergio “neofascista” (!) e “estremista di destra molto noto” (!!!): non è chiaro a chi fosse noto, dato che lo stesso estensore dell’articolo ammette che l’unica accusa che gli era stata mossa era di “affissione abusiva di manifesti”… Peraltro La Stampa sembra ignorare l’esistenza del MSI-DN: insiste a chiamare Ramelli “militante del msi” e Almirante “segretario del msi”; per comprendere quanto questo atteggiamento sia politicamente scorretto si pensi a quello che potrebbe essere la nostra reazione se leggessimo, oggi, sulla Stampa, che “Walter Veltroni ha dato le dimissioni da segretario del Partito Comunista Italiano”!!! In certi altri casi la denigrazione tocca il ridicolo: sulle pagine de l’Avvenire Paolo Farneti, definisce Sergio Ramelli “giovane extraparlamentare di destra”(!) e con ciò sembra ignorare che l’MSI-DN aveva una ricchissima rappresentanza parlamentare. Ma è possibile che Farneti ignorasse questo fatto, che tutti in Italia conoscevano? E se non lo ignorava, come è ovvio, perché definire “extraparlamentari” i suoi aderenti? perché chiamare “gruppuscolo” un partito che – comunque lo si voglia giudicare – rappresentava 4 milioni di italiani?
Questo atteggiamento ambiguo e poco corretto caratterizza gran parte di quella che, allora, si chiamava “la stampa borghese” (con la nobile eccezione del Corriere della Sera, che seppe offrire un’analisi corretta e seria) e, di fronte ad essa c’è senza dubbio da preferire la condanna dell’assassinio che, con maggiore onestà, offre l’Unità, allora quotidiano del Partito Comunista Italiano.
Particolarmente sgradevole è il trattamento che la maggior parte dei giornali riserva alla questione del funerale che, come è noto, fu proibito: la questura, per ragioni di ordine pubblico (!!!) impedì che venisse fatto qualsiasi forma di corteo funebre, e la bara fu portata in Chiesa in un furgone chiuso, scortato da due auto della polizia.
Ebbene, la triste verità è che la maggior parte dei giornali omette di dare informazioni al riguardo: le uniche eccezioni sono Il Mattino, che parla a chiare lettere della proibizione, L’Avvenire, che accenna a qualche tensione e rivela che, per impedire il funerale, erano stati allertati DUE BATTAGLIONI DI CARABINIERI (il che la dice lunga) e il Corriere della Sera che racconta come, nell’occasione, la polizia fossa arrivata persino a fermare l’indignato Consigliere Comunale Staiti. Infine il Candido, che offre una dettagliata descrizione dello scandaloso cordone di polizia utilizzato per minacciare di arresto gli amici e le amiche di Sergio. Il Candido affida la descrizione della giornata alla prestigiosa firma di Leo Siegel.
La maggior parte dei giornali descrive invece un clima idilliaco e sostiene che, per volontà della famiglia, i funerali si svolgono in forma privata; alcuni articoli farneticano, addirittura, di un “perdono” che la famiglia Ramelli avrebbe già concesso agli assassini. Si può aver riprova di quanto fossero false queste dichiarazioni leggendo, nelle pagine relative al processo, la reazione che la mamma di Sergio ebbe nei confronti della richiesta di perdono fatta dagli assassini 12 anni dopo. In effetti alcuni giornalisti ammettono che queste cose le hanno solo sentite dire, che non hanno intervistato i genitori, ma che tuttavia non dubitano che le cose stiano così. E’ con un certo imbarazzo che vien fatto da ricordare che un giornale, se vuol essere qualcosa di diverso da un pettegolezzo da parrucchiere, dovrebbe accertarsi delle informazioni che pubblica.
La questione della morte e del funerale di Sergio Ramelli è certo una tra le più odiose pagine della storia della Repubblica. Il modo con cui gran parte della stampa la descrisse costituisce a sua volta una pagina vergognosa per il giornalismo italiano.
Rassegna stampa a cura dell’Archivio Storico della Destra Italiana dell’Associazione Culturale Lorien
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